Il reato di “Maltrattamenti contro familiari e conviventi” previsto dell’art. 572 del codice penale, punisce il soggetto che maltratta un famigliare o una persona ad egli affidata o sottoposta alla sua autorità. I maltrattamenti possono consistere in condotte di violenza fisica e psicologica o comunque in comportamenti (ingiurie, minacce, danneggiamenti, privazioni etc.) in grado di mortificare e umiliare abitualmente la vittima, rendendo la situazione insostenibile.
Per questa ragione, è opinione condivisa in dottrina e giurisprudenza che per la sussistenza del reato debba sussistere in capo alla vittima del reato uno stato di soggezione rispetto al soggetto agente.
Secondo un primo orientamento di legittimità, tale stato di soggezione andrebbe escluso in tutti quei casi di conflittualità in cui un soggetto possa subire determinate condotte, mantenendo comunque una reattiva capacità di resistere all’offesa e, nel caso, di replicare.
In particolare, secondo la VI Sezione penale della Suprema Corte (sentenza 31 gennaio 2019, n. 4935), il delitto in argomento non sussisterebbe qualora le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche e con un grado di gravità e intensità equivalenti.
Tale pronuncia risulta apertamente criticata da una diversa e recente sentenza della III Sezione della medesima Corte (n. 12026 del 24.01.2020, depositata il 14.04.2020), con cui si è stabilito che la reciprocità delle condotte non esclude la sussistenza del reato, posto che oltre a non ravvisarsi nell’ordinamento alcun genere di legittima “compensazione” di offese di siffatta tipologia, si disattenderebbe così la tutela del bene ultimo protetto dalla norma in discussione, ossia il generale interesse pubblico alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti agiti all’interno di essa, a prescindere dalla reciprocità degli stessi.
Pertanto, l’elaborazione giurisprudenziale relativa al delitto in argomento, sempre più oggetto di trattazione presso i tribunali italiani, continua nella sua opera di allargamento dei confini di rilevanza penale delle condotte maltrattanti, in un’ottica di massima salvaguardia della famiglia e di altri importanti contesti del tessuto sociale ed educativo.
Certamente, in presenza di vessazioni reciproche, il compito di stabilire la sussistenza o meno del reato sarà ancor più delicato, considerato l’alto rischio di denunce strumentali o forzate all’interno di contesti altamente conflittuali, dove non è sempre agevole stabilire se vi sia un effettivo stato di soggezione in capo all’una o all’altra parte.